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Con la T o senza la T

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Ci sono tante cose importanti di cui occuparsi e compiti molto gravosi che attendono il Governo Draghi, che ha giurato stamattina. Tra queste può sembrare di secondaria importanza — ma mica tanto — la questione delle competenze sul turismo, emblematica della incapacità del nostro Paese di dare continuità all’indirizzo politico su una questione di enorme rilievo per l’economia italiana: basti pensare che nel 2019, prima che l’uragano della pandemia azzerasse quasi del tutto questo comparto, si erano registrati 131,4 milioni di arrivi, pari a 436,7 milioni di presenze, generando l’occupazione di circa 4,2 milioni di persone e il 13% del PIL. Il nostro Paese è talmente ricco di risorse naturali, paesaggistiche e culturali da richiamare spontaneamente un flusso di visitatori che andrebbe coltivato con cura molto maggiore. E invece…

L’andamento ondivago della politica italiana nel settore, è testimoniato dal fatto che in passato, durante la cosiddetta prima Repubblica, le competenze erano affidate a un ministro a volte con e a volte senza portafoglio, spesso accorpato allo spettacolo, spazzato via nel 1993 da un referendum abrogativo, che praticamente trasferì tutte le competenze alle Regioni, lasciando alla Presidenza del Consiglio pochissime e residuali capacità per incidere o promuovere lo sviluppo turistico; così fu fino al 2006, quando il Governo Prodi affidò al Ministro per i beni culturali Rutelli anche la delega per il turismo (alcuni ricorderanno lo spot “visit Italy”); dal 2008 il successivo Governo Berlusconi separò nuovamente le competenze, affidando i beni culturali a Sandro Bondi e a Michela Brambilla il turismo; nel governo Monti del 2011 il turismo fu accorpato allo sport e agli affari regionali, affidandolo a Piero Gnudi; nel 2013 il Governo Letta aggiunse una T alla sigla MiBAC trasformandola in MiBACT (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) e affidò il settore a Massimo Bray; un anno dopo, nel 2014, tocca al Governo Renzi e a Dario Franceschini, che conserva la T; dopo le elezioni politiche del 2018 si insedia il primo Governo Conte e il turismo viene appiccicato al Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali, affidato a Gian Marco Centinaio, per cui cade la T e ad Alberto Bonisoli viene affidato il compito di occuparsi solo dei Beni culturali; nel 2019 la maggioranza giallo-verde diventa giallo-rossa e nel Conte bis torna Franceschini, che fa aggiungere nuovamente la T alla denominazione del suo ministero; stamattina si è insediato il Governo Draghi, rimane Franceschini ma non la T, perché rinascerà il Ministero del Turismo, di cui si occuperà Massimo Garavaglia.

Per il momento ci fermiamo qui: vi aggiorneremo sui prossimi cambiamenti. Non aggiungiamo nulla sulla serietà e affidabilità di un Paese che in quindici anni ha cambiato idea una decina di volte su come gestire un settore così importante, che già soffre per la sovrapposizione fra competenze statali e regionali, scorporandolo o aggregandolo di volta in volta alla cultura, allo sport, all’agricoltura. Cui prodest può sembrare una domanda senza risposta e invece vi sveliamo anche chi ci guadagna in tutto questo: i tipografi, che hanno dovuto rifare ogni volta la carta intestata e le targhe da affiggere al portone delle sedi dei vari ministeri, e con loro imbianchini e traslocatori, che hanno allestito gli uffici e spostato ogni paio d’anni arredi e documenti da una parte all’altra di Roma.



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